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Costruire l'ospedale del futuro

20 aprile 2022

Costruire l'ospedale del futuro.

A Milano, nell’area che era dell’Expo, è quasi pronta una nuova struttura che curerà i malati tra comfort e il meglio offerto dalla tecnologia. Il nuovo Galeazzi sarà un centro d’eccellenza per la salute capace di unire assistenza, formazione, ricerca e sostenibilità. Panorama ha visitato in esclusiva il cantiere per vedere quello che ci riserva la sanità di domani.

A vederlo così, con la pulizia squadrata delle sue linee avanguardiste, tra il rimbalzo dei riflessi sulle sue larghe vetrate, sembra qualcos’altro: un museo d’arte contemporanea, imponente e ambizioso, anzi il prototipo di una cittadella di domani.

Suggestioni inevitabili, per niente fuori fuoco: il nuovo Galeazzi, svettante al posto del padiglione del Brasile nell’area che fu dell’Expo, oggi sede del «Mind» (Milano innovation district), è quanto di più si avvicina al modello compiuto, ormai quasi pronto, dell’ospedale del futuro. Nuovo perché accoglierà i reparti del vecchio, omonimo Irccs Istituto Ortopedico, il primo in Italia per protesi impiantate. Inoltre, assorbirà le attività dell’Istituto Clinico Sant’Ambrogio, un riferimento per il trattamento delle patologie cardiovascolari. Diventerà un centro d’eccellenza a tutto tondo, in grado di offrire dal pronto soccorso alle analisi più complesse e agli interventi più delicati; dai ricoveri in convenzione con il sistema sanitario a quelli a pagamento. Il tutto in uno spazio che tutela la salute, ristabilisce il benessere, punta sulla sostenibilità, l’innovazione, l’attenzione a mettere il paziente al primo posto. Coniuga assistenza, ricerca, formazione.

Frutto di un investimento complessivo di circa mezzo miliardo di euro, costruito a passo spedito (in tre anni e mezzo, contro la media europea di dieci per strutture analoghe), sarà inaugurato a settembre. Potrà contare su 600 posti letto distribuiti su 7 dei 16 piani totali disposti su un’altezza di 94 metri, all’interno di un’area da 50 mila metri quadri: 20 mila dedicati all’edificio, i restanti ai parcheggi e al verde che rianimerà un’area appassita dopo l’esposizione universale.

Panorama è stato il primo giornale a visitare in esclusiva le fasi conclusive del cantiere, che ha coinvolto in media 650 persone. A percorrere corridoi che pensionano il concetto dei padiglioni dispersivi e labirintici: il nosocomio si sviluppa in altezza, così passare da un reparto all’altro è semplice e veloce. Ospita macchinari di ultima generazione, che forniscono referti precisi in tempi rapidi, snellendo le attese snervanti, archiviando in automatico i campioni qualora sia necessario ripetere un esame, recapitandone i risultati su smartphone e computer.

Le sale operatorie, 32 in tutto, montano lo stato dell’arte che la tecnologia può offrire a livello internazionale, più alcune spigolature di sapore fantascientifico: tablet di controllo e luci dai colori regolabili per permettere ai chirurghi di scorgere meglio gli organi e i dettagli su cui stanno lavorando. Cromie cangianti che ritornano sulle vernici usate per le pareti: più accese nelle zone ultramoderne dedicate alla terapia intensiva, per tenere desti i presenti; chete e rilassanti nelle aree in cui il riposo è già un tassello della cura.

Le stanze per i degenti hanno letti connessi, poltrone, divanetti e servizi completi (doppi gli ambienti e i bagni nelle suite), più un prezioso patrimonio intangibile: un’aria salubre rinnovata in media, in automatico, ogni 20 minuti. Un meccanismo ciclico, virtuoso, per togliere di torno virus, batteri e altre microscopiche, insidiose presenze. Il panorama sullo sfondo vale come benefit supplementare: dalle finestre, nelle giornate terse, si scorgono le montagne, mentre lo skyline di Milano con i suoi grattacieli luccica dopo il tramonto.

Il nuovo Galeazzi è uno dei 19 ospedali del Gruppo San Donato. Da sempre di proprietà della famiglia Rotelli, tesse una storia che parte da Luigi, con il primo nosocomio aperto a Pavia nel 1957, per passare il testimone al figlio Giuseppe, mancato nel 2013. Oggi al comando ci sono i suoi eredi: Paolo, il figlio maggiore, è vicepresidente. Carica che condivide con Kamel Ghribi, il finanziere che da qualche anno affianca la famiglia e la sta supportando nella traiettoria di allargamento all’estero intrapresa dal gruppo (si vedi il box a destra).

Salendo e scendendo dagli ascensori s’incontrano i bar, l’area ristorazione, la farmacia, le varie istantanee di un ecosistema che nasce. Ecco la parte riservata alla ricerca, agli studenti, all’università, con un auditorium da 440 posti, le vetrate enormi per esaltare la luce naturale, su una parete le nicchie per gli schermi giganti al posto delle lavagne. Fino, più avanti, al bunker della radioterapia, isolato e rafforzato con imponenti strati di cemento, per tenere le radiazioni confinate al suo interno.

Il cuore dell’ospedale batte dietro le quinte, nelle aree vietate al pubblico, dove si vigila che l’orchestra suoni senza stonature. C’è la sala di controllo che raccoglie il segnale di 600 telecamere; il cervellone per tenere d’occhio la salute degli impianti, per ripararli in tempo, prima che si guastino: anche per loro, cure e prevenzione sono evolute. L’alimentazione vanta vari livelli di scorta: può saltare la corrente, a lungo, ma il Galeazzi continuerà a funzionare. Gli ingegneri lo hanno pensato a prova di catastrofe, prevedendo persino un piano dove far confluire i malati qualora serva evacuarli per risolvere un’emergenza.

Le squadre hanno lavorato con coesione ed entusiasmo: «Ce lo siamo cresciuti noi» si sente ripetere più volte esplorando il cantiere con il casco in testa, il giubbotto catarifrangente sulla vita, le scarpe da lavoro strette ai piedi. Veniamo scortati in cima, sul terrazzo, dove risplende un tappeto di moduli fotovoltaici: assieme a tecniche quali il teleriscaldamento, la cogenerazione, la geotermia, i gruppi frigoriferi e le pompe di calore, contribuiscono a rendere l’ospedale sostenibile. Uno sforzo che è valso la certificazione Leed Gold, tra i più ambiti ed elevati standard a livello internazionale per sancire la ridotta impronta ambientale di un edificio. Un approccio che si rinnova nell’isola ecologica, dove i rifiuti vengono differenziati, riciclati, potranno essere usati per diventare altri flussi d’elettricità. In generale, tutta quella che servirà ad alimentare la struttura arriverà da fonti rinnovabili, scorrerà in 2.350 chilometri di cavi, accenderà 25 mila lampadine a Led, affiancherà 273 chilometri di tubazioni.

L’ospedale, con la sua sovrabbondanza di primati e record, ha anche definito cosa non vuole essere: una cattedrale nel deserto. Nelle immediate vicinanze metterà a disposizione 350 posti auto, altri 850 verranno ricavati poco distante, in un’area collegata da una navetta elettrica che farà la spola dalla vicina metropolitana. Ci sarà una pista ciclabile e un collegamento diretto pedonale. Non mancherà il movimento. Il nuovo Galeazzi sarà lì, pronto ad accoglierlo.